Ciccio Sultano racconta il suo viaggio a Sicilymag.it

Un’avventura che si snoda tra il ristorante Duomo, I Banchi e Pechino Express 4. Ecco l’intervista di Alessandra Dammone allo chef Sultano pubblicata su Sicilymag.it, il 24 settembre 2015
Il Sultano di Ibla che gioca
a fare il globetrotter
Ciccio Sultano, chef ragusano de Il Duomo a due passi da San Giorgio (2 stelle Michelin aspirante alla terza), festeggia l’apertura de I banchi, locale che promuove la filosofia dei banchi alimentari nei bassi di palazzo Di Quattro in via Orfanotrofio, partecipando al programma tv “Pechino Express”, in coppia con il collega francese Philippe Léveillé col nome di gara de “Gli stellati”
Attualmente in tv con Pechino Express 4 nella coppia degli “Stellati” insieme al collega francese Philippe Léveillé, Ciccio Sultano, già chef del bistellato ristorante Duomo, ha inaugurato I banchi, un grande locale che promuove la filosofia dei banchi alimentari all’interno dei bassi del palazzo Di Quattro in via Orfanotrofio nel cuore di Ragusa Ibla. Le materie prime, dal pane ai salumi, dalle farine all’olio, dalle olive alla salsa di pomodoro preparate dallo chef, sono protagoniste degli spazi e vanno in vendita anche al dettaglio. Essenziali strutture in acciaio in contrasto con la pietra viva, sono la cornice di una cucina che si definisce “gourmand, ma senza fronzoli”.
Ha detto di essere nato dal rischio e dalla strada. Cosa intende esattamente?
«Voglio dire che mi sarebbe piaciuto studiare ma non ne ho avuto la possibilità. A tredici anni ho cominciato a lavorare in una pasticceria di Vittoria, e lì mi sono formato da ogni punto di vista perché il pasticcere,Vincenzo Corallo, l’uomo che mi ha fatto da padre e mi ha educato agli ingredienti, tra un dolce e l’altro mi dava da leggere di tutto, da Pirandello a Dostoevskij».
Quando ha capito che la cucina sarebbe stato il suo destino?
«A diciassette anni. Dopo essermi dedicato al salato e alla gelateria, alla pasticceria e al laboratorio, ho capito che la cucina era la mia ragione di vita, l’unico mio possibile modo d’essere».
Ha cominciato la sua carriera come pasticcere, poi si è dedicato alla cucina nella sua totalità. Cosa le andava stretto in quel mondo?
«La cucina è sempre stata un’esperienza globale. La pasticceria, invece, se oggi ha allargato i suoi orizzonti, venticinque anni fa era un mondo angusto. Nel locale in cui lavoravo ero arrivato ad un punto in cui non potevo più crescere. Sono stato costretto ad occuparmi di cucina in un’accezione più ampia, e da allora ho cominciato un viaggio che non si è mai interrotto».
Come nascono I banchi?
«Almeno dal 2008 sentivo l’esigenza di aprire un locale più smart, che fosse libero dai meccanismi inevitabilmente legati al peso delle due stelle. Poi è passato il tempo e poco alla volta il progetto si è andato delineando: è cresciuto sempre più fino a diventare quello che è adesso. Forse alla fine abbiamo esagerato un po’, ma dovevo pur trovare una occupazione per quando diventerò grande: ho dichiarato che a cinquant’anni chiuderò Il duomo, e ho tutta l’intenzione di farlo davvero».
Da dove viene il nome?
«Ci piaceva l’idea (il locale appartiene ad una società formata da Sultano e da quattro soci, ndr) di un collegamento con i mercati alimentari, dove i prodotti di eccellenza vengono esposti e raccontati con cura. Da qui l’importanza del banco del pane, di quello dedicato al bar, ai salumi, alla pasticceria e via dicendo, ma anche dei banchi per l’esposizione dei libri, e di quelli di scuola, visto che nei periodi di minor lavoro farò lezioni di cucina qui».
In cucina oltre a lei c’è Peppe Cannistrà. Ci dice che ruolo ha?
«Lavoriamo insieme da dieci anni, era il mio secondo al Duomo. Adesso mi accompagna attivamente in questa avventura: nella società che possiede I banchi lui ha una quota del dieci percento».
Angelo Di Stefano e Valerio Capriotti, rispettivamente ex socio, ed ex maître e sommelier. È stato difficile dirsi addio?
«Sono persone con cui ho lavorato. Per dieci anni con Angelo, solo per uno con Valerio. Non mi spaventa il momento in cui qualcuno va via. Gabriella (Cicero, socia di Sultano e sua compagna, ndr) è pronta a sostituirlo, è un punto fermo. Nella mia vita personale e in quella del ristorante».
Cosa si mangia a I Banchi?
«Prima di dire che cosa si mangia, dobbiamo dire che qui si mangia bene. Facciamo una cucina gourmand senza fronzoli. Una cucina pulita, ma anche di casa. Si mangia un buon fritto misto di pesce, per esempio, il maiale, o l’arrosto. Abbiamo comprato un barbecue verticale capace di arrostire contemporaneamente per cento persone, un vero gioiello».
Cosa può fare qui che al Duomo non poteva?
«Rilassarmi un po’, tanto per cominciare, e divertirmi. Organizzare delle serate ibride dedicate all’arte, alla musica, allo spettacolo. Oppure delle intere giornate dedicate alla pizza, al pane, alla pasticceria, preparando cibi di qualità ma a prezzi contenuti».
Come mai, piuttosto che intraprendere questa nuova avventura, non si è concentrato sul potenziamento del ristorante per ottenere la terza stella?
«Non ho intenzione di perdere tempo e denaro senza un motivo concreto. Farò altri lavori al ristorante quando e se mi daranno questo riconoscimento, altrimenti il locale resterà così fino a chiusura. Ormai mi stanno valutando da anni, la pratica è aperta, ma non credo che me la attribuiranno mai».
E se arrivasse, invece?
«Dovrei rivedere tutti i programmi a lungo termine: a cinquant’anni non potrei più chiudere il Duomo come ho detto e dovrei continuare a lavorare in questo modo, anzi di più. Sarebbe proprio un bel problema… (sorride, gli brillano gli occhi, ndr)».
La provincia ragusana vive un momento enogastronomico felice con una importante concentrazione di talenti e stelle. Si riconosce il merito di aver fatto da apripista ai suoi colleghi?
«Me lo attribuisco serenamente, sì, e lo fa anche la guida Michelin: si può dire che il nostro ristorante in questo senso è stato l’epicentro del sisma di stelle nel Ragusano».
Cosa manca a Palermo per raggiungere gli stessi risultati? I talenti?
«Più che il talento le manca il rispetto della propria città, delle persone che la abitano. Le manca un po’ di umiltà».
Che sapore le ricorda la sua infanzia?
«La zuppa di latte col pane che mi faceva mia nonna, la granita col panino e il pane condito con olio, origano, sale e pepe nero. Di quando lavoravo in campagna invece mi ricordo il sapore delle lumache sulla brace, raccolte dopo una pioggia forte, con un po’ di sale, e quello dell’insalata di pomodoro appena raccolto con cipolla, basilico, sale, olio abbondante e un poco d’acqua. Da mangiare col pane. Una meraviglia».
Quando si emoziona capita spesso che stia parlando di pane. Qual è il suo ruolo all’interno de I banchi?
«E’ un progetto di salubrità, prima di tutto. Le farine che scelgo per panificare sono così care che la panetteria non andrà mai in guadagno, lo so bene. Ma il pane che uso per il Duomo è lo stesso che servo qui, e voglio che sia sano. E poi mi piace pensare che chi passa per questa strada, sentendo l’odore del pane appena sfornato, abbia l’acquolina in bocca e non possa trattenersi dal prenotare.
Ci sono colleghi che considera amici?
«Mauro Uliassi, Moreno Cedroni, Massimiliano Alajmo, Aimo Moroni. Con loro ci sentiamo, ci vediamo, ci confrontiamo. Sono amici veri».
Il piatto che ha fatto la storia del suo ristorante?
«La pasta con la bottarga (Spaghetti con tartara di alici fresche e bottarga di tonno con succo di carote, ndr)».
E cosa le piace mangiare quando torna a casa?
«La carne cotta al barbecue».
Se non fosse diventato uno chef, cosa avrebbe fatto?
«Mi piace lavorare con gli animali. Sicuramente sarei rimasto in campagna».
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